Dal 30 novembre al 13 dicembre 2023 si è tenuta a Dubai la COP 28, l’ultima edizione della Conferenza delle Nazioni Unite sul clima. Un appuntamento molto atteso per decidere le sorti del pianeta nei prossimi anni, che ha visto la partecipazione di 198 Paesi (esclusi Cina, India e Russia) e oltre 70.000 partecipanti accreditati.
L’aver scelto Dubai come nazione ospitante ha creato un po’ di scompiglio tra l’opinione pubblica e gli attivisti sul clima. Il suo presidente, infatti, Sultan al-Jaber, è il direttore di Adnoc, l’ente petrolifero nazionale degli Emirati Arabi Uniti.
Gli accordi finali, arrivati con un giorno di ritardo rispetto alla chiusura programmata per il 12 dicembre, sono frutto di diversi compromessi che hanno accontentato solo in parte chi chiedeva a gran voce lo stop ai combustibili fossili.
La Conferenza delle Parti – COP riunisce annualmente i vertici della Nazioni Unite con l’obiettivo di affrontare le problematiche sul clima. Alla COP spettano funzioni e decisioni di fondamentale importanza, in grado di cambiare le sorti del pianeta. Tra gli accordi più rilevanti presi finora c’è l’Accordo di Parigi sul clima, firmato nel 2015 durante la COP 21.
Le decisioni prese dagli Stati membri si basano sui lavori prodotti dalla comunità scientifica, in particolare quelli dell’Intergovernmental Panel on Climate Change – IPCC. L’IPCC, organo istituito dall’ONU, pubblica periodicamente dei report che riuniscono gli studi dell’intera comunità scientifica riguardanti i diversi aspetti della questione climatica.
Questi studi sono completi e rappresentano una summa di tutto ciò che l’intera comunità scientifica ha prodotto su temi specifici riguardanti il cambiamento climatico, come ad esempio le conseguenze del riscaldamento globale.
Tutti quelli raccolti finora concordano su una cosa: per fronteggiare il cambiamento climatico è necessario ridurre la concentrazione di gas serra in atmosfera. Di conseguenza, per ridurre le emissioni di gas è necessario ridurre l’uso dei combustibili fossili.
Alla luce dei pochi risultati raggiunti nelle precedenti edizioni, ci si aspettava tanto dalla COP 28. A partire dalla definizione di una strategia per il raggiungimento degli Accordi di Parigi.
Negli ultimi 30 anni, la temperatura media globale non ha mai smesso di aumentare. Tanto che nell’ultimo report della IPCC si legge che sarà difficile ottemperare all’Accordo di Parigi, e quindi mantenere l’aumento della temperatura media globale al di sotto dei 1,5° C entro il 2050. Al contrario, le politiche climatiche attualmente attive porteranno la temperatura media terrestre ad aumentare di 3,2 gradi entro il 2100.
Non c’è più tempo per rimandare. È necessario prendere decisioni drastiche per cominciare a invertire la rotta del cambiamento climatico. La COP 28 lo ha fatto, anche se con poca determinazione.
Il 13 dicembre, con un giorno di ritardo rispetto alle aspettative, gli Stati membri della COP hanno firmato il Global Stocktake. Questo documento è davvero importante perché rappresenta un accordo fra le parti che può essere utilizzato dai singoli Paesi per sviluppare piani d’azione per il clima più mirati e incisivi.
La sottoscrizione di questo Global Stocktake, però, non è riuscito ad accontentare tutti. Tra i fattori che hanno fatto più dubitare c’è la mancanza di un impegno specifico da parte dei singoli Stati per ridurre le emissioni di gas serra. Di contro, però, il Global Stocktake tocca dei punti che mai erano stati toccati finora.
Prima di tutto è stata fatta una valutazione degli sforzi attuati fino a oggi dalla comunità degli Stati, conclusasi con una valutazione assolutamente negativa. La strada per raggiungere la Carbon Neutrality entro il 2050 è ancora troppo lontana.
Così, per riuscire a centrare l’obiettivo, la COP 28 ha stabilito la necessità di un progressivo abbandono dei combustibili fossili nei sistemi energetici nel prossimo decennio. È la prima volta che durante una Conferenza delle Parti viene espressa l’esigenza di dire addio alle fonti fossili.
Addio che però non sarà immediato. L’espressione utilizzata per indicare l’abbandono di queste fonti, infatti, è stata “transitioning away”. Una transizione, quindi, che dev’essere effettuata in “modo giusto, ordinato ed equo”, per citare testualmente l’accordo.
Ma qual è questo modo “giusto” di effettuare la transizione? Quali sono i parametri che devono essere applicati per determinarlo? E chi li stabilisce? Insomma, una formula ambigua che lascia spazio a diverse interpretazioni e che fa dubitare gli attivisti del clima sul buon esito futuro.
Non rimane che ben sperare, quindi. E attendere i prossimi mesi per vedere se qualche passaggio di questa decisione verrà messo in pratica o se, invece, rimarranno ancora dichiarazioni sterili.
È stato l’inizio di un cambiamento epocale o l’ennesima occasione sprecata?
La COP 29, che si terrà nel 2024 a Baku, in Azerbaijan, ci saprà dire sicuramente qualcosa di più.